Robertagisotti.it

Frase esatta: Sí No    

 

AUDITEL. C'È ANCORA QUALCUNO CHE CREDE AI DATICHE SFORNA OGNI GIORNO?

Notizia letta 445 volte
Articolo in: Periodici  

Da "Specchio economico" di Luca Borgomeo 01/01/2009

AUDITEL. C'È ANCORA QUALCUNO CHE CREDE AI DATICHE SFORNA OGNI GIORNO?
Che i «numeri» dati dall'Auditel siano veri o falsi, rilevati o inventati, attendibili o inaffidabili, non ha
alcuna rilevanza.Servono a tenere in piedi l'intero sistema televisivo italiano, a gestirlo, condizionarlo
e contro
 

C'è ancora qualcuno che crede ai dati che ogni giorno sforna l'Auditel? Provate a chiedere se è credibile che 9 milioni di italiani hanno visto uno spettacolo televisivo insulso e demenziale come l'Isola dei famosi? Vi risponderanno che non è credibile, non è possibile, non è vero. Verrebbe da dire «Vox populi...». Certamente i dati forniti dall'Auditel sugli ascolti (meglio sarebbe dire sui «televisori accesi») e sullo share (che non è affatto un indice di gradimento o di «penetrazione», ma una semplice stima di una quota d'ascolto) lasciano perplessi. Più che fornire dati, l'Auditel dà i numeri.
Alla voce «dare i numeri» nel dizionario Devoto-Oli si legge: «Con allusione alla cabala popolare, motivo di corrispondenza o illazione occulta, suscettibile di simboleggiare stranezza o sconcertante incoerenza». Ma questi «numeri» hanno, purtroppo un grande potere. Orientano la programmazione televisiva, disegnano la struttura dei palinsesti, servono a distribuire e pagare la pubblicità, a «bocciare» o «premiare» un programma, a stroncare o favorire la carriera professionale e artistica di quanti vivono di tv e nella tv.
Che questi «numeri» dell'Auditel siano veri o falsi, rilevati o inventati, attendibili o inaffidabili non ha, purtroppo, alcuna rilevanza. Servono - e come - a tenere in piedi l'intero sistema televisivo italiano, a gestirlo, condizionarlo e controllarlo in un'ottica meramente mercantile e nell'interesse di ben individuati potentati economici, finanziari e politici.
I giudizi severi sull'attendibilità dei dati Auditel sono numerosissimi e autorevolissimi. Farne un elenco, pur parziale, occuperebbe intere pagine del giornale. Rimandiamo al libro di >b> Roberta Gisotti, «La favola dell'Auditel», Editore Nutrimenti, Roma 2005, per una puntuale raccolta di pareri di studiosi, esperti, giornalisti, istituti di ricerche sociali, statistiche mass-mediatiche, di politici, di istituzioni operanti nel settore dei media: tutti critici e tutti decisamente orientati a non dare credibilità ai numeri dell'Auditel.
Se questi numeri sono approssimativi, inaffidabili, poco veritieri, è evidente che è il sistema di rilevazione dei dati inefficace, inadeguato, errato. I rilievi mossi al sistema di rilevazione sono molteplici e tutti fondati. Mi limito a riportare i principali che riguardano l'esiguità del campione (5.075 meter, installati sui televisori di altrettante famiglie), il campione prescelto seguendo le esigenze del marketing (il telespettatore è considerato in quanto acquirente e consumatore), i «compiti» assegnati alle famiglie che dovrebbero (chi le controlla?) seguire le indicazioni impartite dall'Auditel, i criteri di scelta delle famiglie (in genere, indisponibili a collaborare; l'85 per cento degli italiani rifiuta il «meter» Auditel).
Questi e tanti altri rilievi non sfiorano l'Auditel che si autodefinisce una Casa di vetro per evidenziare la «trasparenza» dell'attività svolta. Forse il riferimento al vetro è più plausibile se si considera che le critiche all'Auditel scivolano come l'acqua sul vetro. A proposito di trasparenza dei dati, l'Auditel si rifiuta di fornire l'elenco delle famiglie «coinvolte», anche quando a farne richiesta sono organi dello Stato. E così Governo, Parlamento, Autorità per le Comunicazioni ecc. non conoscono quali (e, si può aggiungere, quante) famiglie «collaborano» a dare i numeri.
A distanza di 22 anni (l'Auditel si costituisce nel 1986) le critiche alla scarsa affidabilità dei dati non hanno sostanzialmente modificato il sistema di rilevazione, nè tanto meno intaccato il potere economico, finanziario e politico dell'Auditel, che a ragione può definirsi l'architrave dello sgangherato sistema televisivo italiano. Eppure le critiche sono generali e provengono da un fronte molto ampio, dall'intera società italiana. Significative quelle formulate dalla Commissione parlamentare di Vigilanza, dall'Autorità di Garanzia delle Comunicazioni, dal Consiglio degli Utenti. Quest'ultimo, in particolare, nel maggio del 1996 denunciava «la dubbia e falsa rappresentatività del campione statistico», «l'oggettiva difficoltà della rilevazione», «l'utilizzazione del campione a fini mercantili» e «l'inopportuna e dannosa diffusione dei dati, senza mai indicare le modalità di rilevazione, i limiti, i possibili errori standard».
Ma l'Auditel tira diritto. È un'Azienda privata. Sic. Un'azienda privata che svolge, senza alcun controllo pubblico, un servizio di straordinario impatto sul sistema radiotelevisivo italiano e una funzione pubblica, generale, al servizio della collettività. È un assurdo. Auditel è proprietà privata. Un terzo Rai, un terzo tv-private (leggi Mediaset), un terzo Settore pubblicitario.
Basterebbe questo dato per autorizzare dubbi e sollevare inquietanti interrogativi sui dati dell'Auditel. Anche un bambino capisce subito che, se vigilati e vigilanti, controllati e controllori, giudicati e giudici, rispondono a un unico centro di potere economico e politico, i «dati» non possono non apparire ambigui, falsi, inaffidabili. Ma, nonostante tutto, i dati hanno il merito di far girare vorticosamente miliardi di euro di pubblicità e di «accontentare» i padroni dell'Auditel, che a tutto pensano meno che a rivedere un «congegno» che funziona benissimo nell'interesse di Rai, Mediaset e della pubblicità. Che, poi questi interessi siano in contrasto con quelli di milioni di cittadini che hanno diritto ad essere informati correttamente e ad essere intrattenuti con dignità dalla tv, è un problema che non sfiora chi, sulla tv, quella pubblica e quella privata, ha costruito le proprie fortune economiche e politiche, senza valutare l'influenza negativa e deleteria che un granitico monopolio televisivo continua sempre più ad esercitare nel Paese e soprattutto sui giovani.
L'Auditel ha, dunque, una parte di responsabilità per il degrado del servizio pubblico televisivo, per il continuo declino della Rai, per la gestione «privata» di un settore (quello della comunicazione) importante e vitale per la crescita sociale, culturale, etica e democratica di una comunità. E allora come non condividere l'aspro e sprezzante giudizio di Giovanni Sartori che definisce l'Auditel «un sistema nefasto» e «una sorgente di perversione»?

 

 

Questo sito non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità,
non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 2001.